
Innovazione ed educazione
Una grande occasione per condividere le novità e le sperimentazioni già in atto nelle Scuole di tutta Italia
L’autore Alberto Raffaelli accompagnato dal giornalista e opinionista Alberto Gottardo attraversano i luoghi simbolo del romanzo, ambientato a Padova, e ne anticipano alcune istantanee..
Sono nato in Trentino, a Rovereto, il 25 gennaio 1959.
Dopo la laurea in Filosofia ho insegnato per alcuni anni in diversi istituti superiori del Veneto. Ho poi lavorato in varie aziende private.
Sono sposato, ho cinque figli, vivo a Padova e da alcuni anni dirigo la scuola professionale di ristorazione di Valdobbiadene (TV).
Ho sempre pensato che prima o poi avrei cominciato a scrivere.
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Una grande occasione per condividere le novità e le sperimentazioni già in atto nelle Scuole di tutta Italia
Benedetto Zaccaria era un giovane di trent’anni, aveva trascorso gran parte della giovinezza nella fornace di suo padre, a Venezia. Lì aveva imparato il mestiere di maestro vetraio, sgambettando fin da piccolo tra i banchi di lavoro con in mano attrezzi che a stento riusciva a tenere. Sua madre era morta quando aveva appena dieci anni. Il padre, Luigi Zaccaria, non aveva avuto scelta: non avendo nessuno a cui lasciare il bambino, se l’era portato dietro al lavoro.
La perfezione delle forme dell’intrigo congegnato da Alberto Raffaelli nel suo Delitto al Caffè Pedrocchi (Itaca) è seconda solo a quella con cui Raffaelli va orientando al mistero ciascun destino indagato dal suo “Maigret di Valdobbiadene”
“Accade con i libri come con le persone. Vanno presi sul serio. Ma appunto per ciò dobbiamo guardarcene dal farcene idoli, cioè strumenti della nostra pigrizia. In questo l’uomo che fra i libri non vive, e per aprirli deve fare uno sforzo, ha un capitale di umiltà, d’inconsapevole forza – la sola che valga – che gli permette di accostarsi alle parole col rispetto e con l’ansia con cui si accosta a una persona prediletta. E questo vale molto più che la “cultura”, è anzi la vera cultura. Bisogno di comprendere gli altri, carità verso gli altri, ch’è poi l’unico modo per comprendere e amare noi stessi: la cultura comincia da qui. I libri non sono gli uomini, sono mezzi per giungere a loro; chi li ama e non ama gli uomini, è un fatuo o un dannato.”
C. Pavese, Leggere, articolo pubblicato ne «L’Unità», 20 giugno 1945