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Intervista

Intrigante indagine chestertoniana tra scienza e mistero nel cuore di Padova

Nove giorni per scoprire cosa è accaduto a quell’uomo ritrovato rantolante in una pozzanghera di vomito nei bagni del Caffè Pedrocchi, nove giorni di indagine “informale” del viceispettore Giovanni Zanca per scoprire chi voleva morto il professore Eugenio Visonà che ora lotta tra la vita e la morte in rianimazione al Giustinianeo di Padova. Diciamolo subito, la perfezione delle forme dell’intrigo congegnato da Alberto Raffaelli nel suo Delitto al Caffè Pedrocchi (Itaca) è seconda solo a quella con cui Raffaelli va orientando al mistero ciascun destino indagato dal suo “Maigret di Valdobbiadene” (già protagonista de L’Osteria senza oste e Il maestro vetraio).

Il giallo dell’avvelenamento del professore, inquietante rebus inviato via email a tre persone molto diverse, ma anche il significato di «ciò che ognuno è costretto a fare con la propria vita, quando una fatalità, o qualcos’altro, lo costringe ad andare a ritroso per cercare il segreto della sua esistenza, quell’unica cosa necessaria che aveva smarrito, dimenticato o di cui non si era mai interessato»: impossibile non cogliere la ricerca di questo segreto nell’avvicendarsi dei personaggi attorno alle maestose sale dello storico caffè letterario Pedrocchi, dove «ogni cosa contiene un messaggio», o nel raggelante bronx di via Anelli, «immondezzaio di giorno e inferno di notte», ma anche sui campi della Pio Decimo Calcio, tre le scrivanie del rettorato di Palazzo Bo, fino ai chiostri della basilica del Santo, davanti al vecchio confessionale di un frate.

È qui che il genialoide professor Visonà, tanto noto a livello internazionale per i suoi studi sulle applicazioni della fisica quantistica nella finanza, quanto discusso e inviso ai colleghi, veniva ogni venerdì, lasciando il tempio patavino di scienza, conoscenza e potere, «che cosa ci veniva a fare un un tipo come lui – un anarchico, senza alcun apparente interesse per la religione»? Perché i giornali insistono sulla tesi del tentato suicidio e in una immagine negativa che tanto fa a cazzotti con la stima di un manipolo di suoi studenti, per cui il professore è stato e sarà «un vero maestro»? E quale parte nella storia ha un ragazzino senegalese con un talento mostruoso a calcio e un sarcoma del ginocchio? E chi è il mittente di queste misteriose mail, Sidereus Nuncius, che richiama al lettore l’opera scritta nel 1610 da Galileo Galilei per annunciare le sue scoperte fatte a Padova dopo aver volto il cannocchiale al cielo? 

Raffaelli è bravo, bravissimo, non solo perché dirige la scuola professionale di ristorazione di Valdobbiadene (Tv) Dieffe, capace a maggio di riportare in classe e in piena sicurezza e fiducia delle famiglie 250 alunni, uno che ancora educa a quel fattaccio della vita, più grande di ogni malattia. Ma perché a questa vita, le sue medicine amare, i suoi cassetti della biancheria sporca, le fabbriche della paura (sì, c’entrano anche pandemia e vaccini), alle sue scoperte, domande ha dedicato un altro bellissimo mistero alla Chesterton, lo scrittore per cui «tutta la scienza, anche la scienza divina, è una sublime storia gialla. Solo che non è impostata per rilevare perché un uomo sia morto, ma il segreto più oscuro del perché egli viva».

Raffaelli delinea con finezza le figure dei fidanzati (Anna e Francesco), o il giovanissimo calciatore Thomas. C’è da credere che qui emerga, anche se non in modo esplicito, il Raffaelli insegnante e che in alcuni dei ragazzi raccontati con freschezza e simpatia dal romanzo siano tratteggiati alcuni tra i moltissimi studenti da lui incontrati nei tanti istituti in cui ha operato, fino all’attuale, la Scuola di ristorazione di Valdobbiadene.

Alberto Raffaelli, Delitto al Caffè Pedrocchi
Itaca Edizioni, Castel Bolognese
Anno: 2020 – 248 pagine
brossurato con alette
ISBN/id: 9788852606632
Formato: 14×21 cm
Prezzo: 16,00 euro

Il libro si può acquistare su Itacalibri.

http://www.eugenioandreatta.com/

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Intervista

Lucia Bacci e i Libri Stellati

Ho letto un libro bellissimo di un mio amico scrittore che fa il preside di un istituto alberghiero di Valdobbiadene, Alberto Raffaelli, libro bellissimo!!!

Tecnicamente è un giallo perché c’è un misfatto su cui indaga il vice ispettore di polizia Zanca, ma non è un vero giallo, o perlomeno è un giallo alla maniera di Maigret, dove ciò che conta non è scoprire l’autore del delitto, ma entrare dentro le pieghe del cuore umano. Il caffè Pedrocchi è a Padova e, come Maigret, Zanca entra anche nelle pieghe del cuore della città. Per dirla con T.S. Eliot, in questo libro si parla di uomini tutti più o meno tentati da “Usura, Lussuria e Potere”, uomini che sbagliano anche pesantemente, ma visti con lo sguardo di chi ha di loro compassione. Ci sono poi dei giovani che portano la speranza in una società che sembrerebbe ormai dominata dal nichilismo. Zanca non è una figura imponente come Maigret, le cui inchieste hanno come protagonista solo lui, Zanca è umile, silenzioso, mette insieme i pezzi senza clamore ma una cosa è chiara per lui: la verità che persegue e la solidità di una moglie che lo ama, anche se qui appare meno che nelle due precedenti inchieste. Zanca non è ben visto nell’ambiente della polizia che non vorrebbe mettere alla luce quanto si nasconde sotto il velo dell’ipocrisia del potere. I personaggi sono tanti e le loro vite si intrecciano e c’è persino un rompicapo elettronico con sorpresa finale. Il finale è aperto come sempre nei libri Raffaelli. Insomma imperdibile!!! Il prossimo anno lo proporrò come lettura alla mia futura quinta e alle quinte delle scuole pisane per il Progetto Libri Stellati.

Lucia Bacci

Alberto Raffaelli, Delitto al Caffè Pedrocchi
Itaca Edizioni, Castel Bolognese
Anno: 2020 – 248 pagine
brossurato con alette
ISBN/id: 9788852606632
Formato: 14×21 cm
Prezzo: 16,00 euro

Il libro si può acquistare su Itacalibri.

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Intervista

La recensione di Eugenio Andreatta

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Come il precedente “Il maestro vetraio”, anche “Delitto al Caffè Pedrocchi”, terza fatica letteraria di Alberto Raffaelli (il libro d’esordio era stato “L’Osteria senza Oste”) fa ruotare la narrazione intorno a un suo correlato oggettivo. Che se nel precedente romanzo era una vetrata, nelle cui trasparenze lèggere il senso definitivo degli eventi quotidiani, anche quelli più periferici quando non squallidi, in “Delitto al Caffè Pedrocchi” è un gioco, un rebus, inviato da un mittente sconosciuto a tre persone molto diverse tra loro, e che emerge man mano come perno intorno al quale si svolge l’intreccio.

L’autore del rebus si qualifica come Sidereus Nuncius e in questo nome ci sono già alcune delle polarità del romanzo. Da una parte il riferimento è all’omonima opera di Galileo Galilei, scritta a Padova, città che è la vera protagonista del romanzo, così come i precedenti erano ambientati in contesti trevigiani e veneziani. Galileo scrisse il Nuncius nel 1610 da docente universitario padovano e in effetti l’Università è presentissima nel testo di Raffaelli. Un’Università di cui l’autore mette in luce gli aspetti di centro di potere, interconnesso con la politica, la finanza, le consorterie tanto segrete quanto ramificate nelle sedi decisionali.

Sidereus Nuncius è però anche, letteralmente, “messaggero divino”, è la presenza del Destino, che però più che nei precedenti romanzi sembra divertirsi a giocare a dadi. Se la vetrata del romanzo veneziano poteva significare una lettura direttamente teologica del reale, in quest’ultima prova di Raffaelli il Destino sa giocare con le logiche della fisica quantistica (nei dialoghi si cita esplicitamente il paradosso del gatto di Schroedinger) e quindi maschera le carte e ci lascia sempre in sospeso, perché le risposte che secondo la logica aristotelica o la razionalità euclidea possono sembrare le più ovvie e conseguenti, sancendo lo status quo e consacrando la legge del più forte, nell’universo quantistico possono, come in un Magnificat secondo Heisenberg, deporre i potenti dai troni e innalzare gli umili, rovesciando conclusioni che sembravano ovvie.

Detto ciò, ancor più che nelle opere precedenti siamo in presenza di un noir ad orologeria, un testo che conosce a menadito i tempi e le scansioni del romanzo giallo, con un suicido che però forse è un omicidio – o forse no – un detective (il viceispettore Giovanni Zanca, protagonista anche dei precedenti  romanzi) e una costruzione quasi teatrale: un avvicendarsi di atti e di scene in cui personaggi lontanissimi tra loro, dall’allenatore di una squadretta di periferia al presidente di una società finanziaria, dal ricattatore dal cuore buono al giornalista prono ai potenti, scoprono via via legami impensabili. È un giallo che coniuga architettura solida e costante scorrevolezza, per cui si fa fatica a interrompere la lettura senza volerne leggere almeno un altro capitolo.

Nel testo troviamo squarci (una scena che il viceispettore Zanca osserva in pochi secondi da un treno regionale, o i pensieri di una prostituta alla finestra), che non hanno continuità nel prosieguo dell’opera. Sono episodi che, lungi dal risultare corpi estranei, conferiscono ariosità al romanzo; lo stesso effetto conseguito da digressioni tenere quando non umoristiche, e però di grande verità umana, come l’innamoramento di Charlie per la sua impossibile donna ideale.

Resta da dire della presenza di Padova, un atto di amore dell’autore, trentino di nascita ma che da anni vive in questa città. Non è un luogo letterario. Ai padovani – anche di adozione come il sottoscritto – non sfuggirà la conoscenza puntuale che Raffaelli dimostra di angoli, situazioni, dettagli, per non dire dei personaggi (alcuni soprattutto di seconda fila ispirati a persone reali). Ai non padovani resterà comunque il sapore di una città vera, credibile, magari da scoprire di persona dopo aver letto il romanzo. Così come verissimi sono alcuni personaggi della storia padovana che recitano un ruolo attivo nell’ingranaggio della narrazione, dal rettore e latinista Concetto Marchesi all’eroico francescano, avviato agli altari, padre Placido Cortese.

Atto d’amore per la città, dicevamo. Ma anche per i suoi abitanti. Perché per le tante figure che animano l’azione tra Pedrocchi, palazzo del Bo e basilica del Santo, di primo e di secondo piano, buone e cattive, umili o potenti, lo sguardo dell’autore è improntato alla simpatia, nel segno di una pietas, di una capacità di “sentire l’umano”, che non è negata neppure ai peggiori. Per tutti c’è sempre una possibile via di fuga, anche per personalità ferite e non lineari come il professor Selmin o per l’oscuro Ermes Zen.

Un’ultima nota, già presente nel precedente romanzo ma qui più accentuata, riguarda i giovani, che sono il vero polo positivo del racconto, come per il gruppo di laureandi o ricercatori ai primi passi che circondano il professor Visonà (Raffaelli delinea con finezza le figure dei fidanzati Anna e Francesco), o il giovanissimo calciatore Thomas. C’è da credere che qui emerga, anche se non in modo esplicito, il Raffaelli insegnante e che in alcuni dei ragazzi raccontati con freschezza e simpatia dal romanzo siano tratteggiati alcuni tra i moltissimi studenti da lui incontrati nei tanti istituti in cui ha operato, fino all’attuale, la Scuola di ristorazione di Valdobbiadene.

Alberto Raffaelli, Delitto al Caffè Pedrocchi
Itaca Edizioni, Castel Bolognese
Anno: 2020 – 248 pagine
brossurato con alette
ISBN/id: 9788852606632
Formato: 14×21 cm
Prezzo: 16,00 euro

Il libro si può acquistare su Itacalibri.

http://www.eugenioandreatta.com/

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Intervista

Lo strano caso dell’osteria senza oste