Graziano Debellini – Oratorio del redentore

Intervento

1 Giugno 2016

Per me il secondo romanzo di Alberto, è stata una sorpresa.

Non entro qui nel merito della trama perché poi il libro bisogna venderlo e se poi si entra troppo nella trama si perde il gusto di leggerlo tanto più perché questo è un romanzo giallo, con qualche aspetto di thriller.

In questo romanzo abbiamo due grandi episodi attorno a cui la cornice si svolge: il primo è una misteriosa donna trovata uccisa a Marghera e poi lo scandalo per corruzione del vicesindaco di Venezia, salvo poi capire, nel corso del romanzo, che lui era un capro espiatorio, non era lui l’artefice della corruzione, ma c’era un giro più grande di affari.

Questa è la cornice dentro cui si svolge il romanzo.

Dal punto di vista umano il centro del romanzo è la vetrata fatta di dodici quadri che questo ragazzo, Benedetto Zaccaria, sta realizzando in una vecchia fornace di Marghera. Questa vetrata artistica è destinata al restauro di una piccola chiesetta in rovina a Marghera, alle porte di Venezia. La storia di questo ragazzo, che ha cominciato a fare il mestiere del vetraio seguendo suo padre, un grande maestro vetraio, è segnata come un sottofondo musicale, dalle immagini dei mosaici di San Marco e della Basilica di Torcello. La figura centrale quindi di tutto il romanzo è Benedetto ed è la figura che rappresenta secondo me il cuore del romanzo. E’ un ragazzo semplice, un giovane schivo, di poche parole, timido, un animo fortemente religioso. Quando si incontrano queste vetrate cambia il carattere della stampa, si passa al corsivo, e comincia la descrizione dei quadri delle vetrate e la cosa impressionante che ho scoperto con lui è stata che descrive la vetrata e ti fa entrare nella storia che questa vetrata esprime. C’è un passaggio molto bello nel libro: quando i preti della Curia di Venezia vengono a conoscere questa cosa si arrabbiano perché questo modo di descrivere la vita è sentita da loro come una cosa strana.

C’è un’idea importantissima nel libro. Questo ragazzo, Benedetto, attraverso queste vetrate, vorrebbe strappare il velo che nasconde la vera realtà per vederne finalmente le forme e i colori, “ma la realtà si ritraeva, si rendeva impalpabile, sfuggiva. Toccarla una volta, tastarne la scorza, sentirne la consistenza…”

Questo rapporto di Benedetto con la realtà in cui vorrebbe entrare è un tema centrale del romanzo e i quadri della vetrata sono il suo modo per entrare nella realtà e risultano uno spaccato incredibile della vita. Il luogo dove lavora Benedetto, una vecchia fornace, diventa nel tempo il centro dove si incrociano tutte le storie del romanzo. Questo accade quasi senza che Benedetto se ne accorga, perché lui va lì ogni giorno a fare il suo lavoro, e per lui è faticoso arrivarci, ogni giorno parte da Venezia, prende l’autobus, deve fare l’ultimo tratto a piedi in una zona degradata, un po’ pericolosa. In questo luogo potete incontrare il piccolo Nick, un ragazzino albanese ospitato nella parrocchia di Marghera che impara a lavorare, suo zio che invece è un trafficante, sua mamma che lo aveva abbandonato Nick da piccolo e ad un certo punto va in cerca del figlio e scopre che lui aveva trovato il suo destino nel rapporto con Benedetto, un destino buono. E poi c’è Sonia, ma la sua storia la lascio scoprire a voi. C’è il parroco, don Giuseppe poi il vice ispettore che svolge le sue inchieste e sua moglie Elena, una figura molto interessante da seguire, infatti il romanzo finisce con una lettera di Elena a Benedetto.

Poi c’è l’amante del vicesindaco, Valentina, questa storia un po’ intrigante e perciò vi lascio la curiosità di andarla a leggere.

Ed infine c’è il Barba: il Barba è in qualche modo il centro vero di contrabbando e di malaffare a Marghera.

Ed anche la sua è una storia che non gira tutta negativamente.

I quadri della vetrata, che troviamo narrati in corsivo, raccontano storie tragiche o commoventi di miseria o di redenzione.

Quando le leggete vi accorgerete sempre di qualche dettaglio bellissimo. Ne cito una: una storia d’amore fra due persone che non vogliono perdonarsi, ma nella scena finale di questo quadro, lui, il padre, si butta in ginocchio.

In queste scene si incontra un cristianesimo semplice, che fiorisce e fa capire più di qualsiasi discorso.

In tutto il romanzo la suspense è altissima ed è una suspense che avvolge tutti i personaggi, sembra che stia sempre per succedere qualcosa. Questo mi ha ricordato un po’ la mostra di Hopper che ho visitato a Bologna nei giorni scorsi. Hopper diceva che i suoi personaggi, queste donne che sono alla finestra, che sono in attesa perché tutto può cambiare improvvisamente. I personaggi di Alberto hanno tutti questo accento di qualcosa che sta per accadere.

E in tutte le pagine del romanzo c’è questo riverbero: tutto può cambiare improvvisamente anche in mezzo al dolore, alla desolazione umana, alle intricate e contraddittorie vicende umane. Di queste trovate qui uno spaccato bellissimo.

Il pensiero più importante che volevo dire è che Alberto, ci porta dentro la durezza della realtà, perché la realtà è tosta come ci dice sempre qualche amico, per scoprire cosa c’è di positivo. Questo libro all’inizio doveva avere un titolo che era legato al tema del Giudizio Universale. Il titolo poi è cambiato ma il tema del giudizio è rimasto. Lui dice nel libro a pagina 200: “il giudizio è vedere le cose dal punto di vista di Dio”.
Infatti il tema che prende la scena, e che ad un certo punto diventa il centro di tutto il romanzo, dentro i volti e i dettagli dei vari personaggi, è la possibilità di trattare le circostanze di dolore e di male in una prospettiva di bene.

Dunque, punto finale, com’è che il male, che resta sempre male, e ci può essere solo il miracolo di Qualcuno che trasforma le circostanze di male in una occasione di bene, ma il male rimane sempre male.
Ma questa possibilità che il male si trasformi in una occasione di bene, come può avvenire?

Questo, secondo me, è il grande messaggio che io ho colto leggendo un paio di volte questo libro. Perché nel romanzo c’è, in tutti i personaggi, anche quelli più scaltri e più negativi, c’è come un’attesa di bene, piccola o grande. C’è una attesa e un desiderio del bene che segna, in qualche modo, la vita di tutti, disgraziati, farabutti, delinquenti o altro. Però, ed è l’idea finale che volevo dire, però il bene non arriva per una strada etica, non arriva su una strada in cui uno si mette a posto e fa il bravo. Ad un certo punto, e qui è bellissimo nel romanzo perché è una cosa che si ripete, ad un certo punto succede una cosa nuova. Il perdono non è l’esito di un nostro percorso etico, di una nostra analisi psicologica, quando arriva il perdono è un’altra cosa, è una cosa nuova. Sono bellissime le pagine da 249 a 251 dove si parla di due mendicanti e si trova questa idea: è un’altra cosa, non c’è un percorso per cui tu entri in una pedagogia di bene e alla fine c’è il perdono. No, quello che accade ad un certo punto è un’altra cosa.

Cito una frase molto bella a riguardo di questo pensiero: è una frase di don Giussani che dice: “Questa cosa nuova non è fatta di discorsi suggeriti dalla saggezza umana o propositi di bene o progetti o impegni poggiati sulla nostra volontà di vita, oppure sulle nostre energie, sul nostro gusto di lavoro. E’ una cosa nuova, che ci viene incontro, che accade, che succede.” Continua ancora Giussani. “E’ una misura che si allarga, è come se la nostra coscienza e la nostra affettività, perciò il nostro io e le persone a cui ci leghiamo, venissero introdotte in un ignoto, in un orizzonte imprevisto, oltre la nostra misura dove tu non avresti mai immaginato.”

Concludendo: in questo romanzo c’è questo profumo, c’è il profumo di questa gioia, di questa scoperta, di questa sorpresa. Infatti nella lettera finale di Elena a Benedetto, nelle ultime righe, troviamo questa espressione: “Inizia tutto di nuovo”.

La cosa più bella è quella che arriva potente e gratuita e riempie anche il nostro dolore. Lo riempie di una prospettiva nuova, lo riempie con un pezzo di paradiso.

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